Per conoscere e capire la situazione vegetazionale del Parco attuale è necessario fare una breve premessa: i boschi padani sono figli delle Alpi. La lenta e progressiva degradazione della catena alpina ha riempito l’antico golfo marino, il succedersi delle glaciazioni e l’apporto ed il deposito costante dei detriti da parte dei fiumi, hanno determinato il substrato podologico sopra il quale si sono evoluti i boschi padani.Le Alpi alimentano d’acqua la pianura, ne determinano il clima e costituiscono quindi l’elemento fondamentale nella genesi della vegetazione padana. Il succedersi degli avvenimenti bioclimatici ha modellato la foresta fino ad un paio di millenni fa, poi, a causa delle profonde modifiche ambientali dovute alle attività antropiche, le caratteristiche naturali della foresta sono state profondamente devastate sino a scomparire. Attualmente, le vestigia dell’antica vegetazione si rinvengono, con difficoltà, solo nei relitti boschivi protetti dei parchi e delle riserve.
La flora del Parco non sfugge a questa regola e mostra vistosi esempi di manomissione arborea. La più eclatante riguarda la robinia (Robinia pseudoacacia), leguminosa del nord America, la quale, favorita dalla pratica del taglio, domina da decenni le macchie e i boschi a discapito delle essenze indigene e della biodiversità.
La formazione forestale del Parco mostra caratteri di transizione tra i boschi della pianura e delle Prealpi e si può riferire al querceto misto di farnia (Quercus robur) e carpino bianco (Carpinus betulus), in cui compaiono numerose altre essenze arboree quali: l’olmo (Ulmus minor), l’acero campestre (Acer campestre), l’orniello (Fraxinus ornus), il pino silvestre (Pinus sylvestris) e il ciliegio selvatico (Prunus avium).
Tra le specie alto-arbustive domina nettamente il nocciolo (Corylus avellana), sovente trattato a ceduo perché pollonifero; abbondante è anche il sambuco (Sambucus nigra), dalla precoce foliazione primaverile.
Numerosi gli arbusti che colorano il sottobosco: il prugnolo (Prunus spinosa), i biancospini (Crataegus spp.), la sanguinella (Cornus sanguinea), il corniolo (Cornus mas) e il pallon di maggio (Viburnum opulus), danno vita al bosco spoglio di primavera e nutrimento autunnale agli uccelli.
Maggio profuma del sempreverde e mellifero ligustro (Ligustrum vulgare) mentre il bosco d’autunno brilla dei frutti della berretta da prete (Euonymus europaeus). Lo strato dei bassi arbusti, soprattutto ove il bosco è degradato o confina con arativi, è zona di rovi (Rubus sp.) ma ben presente è il pungitopo (Ruscus aculeatus)*, la lantana (Viburnum lantana) e numerosi sono gli esemplari giovani di specie d’alta crescita. Molte le specie di rampicanti ospiti del bosco: troviamo l’edera (Edera helix), la clematide (Clematis vitalba) i cui ciuffi argentei brillano nel bosco invernale, il caprifoglio (Lonicera spp.) ed il luppolo (Humulus lupulus).
In prossimità del fiume e delle zone umide si ergono maestosi i pioppi (Populus nigra), gli ontani neri (Alnus glutinosa) e numerosi salici (Salix spp.)
Il soprassuolo si caratterizza per la rigogliosa fioritura primaverile di numerose liliflore: il bucaneve (Galanthus nivalis)*, il campanellino (Leucojum vernum)*, lo splendido dente di cane (Herythronium dens-canis)*, la scilla (Scilla bifolia); ma anche la primula gialla (Primula vulgaris), gli anemoni (Anemone nemorosa, hepatica nobilis*, A. ranuncoloides) e la pervinca (Vinca minor) e le più rare Colombine (Corydalis solida), esplodono in una successione di intense fioriture, chiuse, alla fine di aprile, dall’ombra incipiente degli alberi.
Più rari, ma belli da scoprire, l’elleboro verde (Helleborus viridis), i ciclamini (Cyclamen repandum)*, il profumato mughetto (Convallaria majalis)* e, nelle zone umide, il giaggiolo giallo (Iris pseudacorus)*, il fascinoso Giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum), la coda di topo (Typha latifolia)* ed alcune specie di orchidee. Abbondante, lungo il letto del fiume, la presenza dei primordiali equiseti e delle felci. Le pareti ombrose del ceppo ospitano le lunghe lamine della lingua cervina (Phyllitis scolopendrium), della cedracca (Ceterach officinarum) ed anche, ove l’acqua garantisce umidità costante, diverse specie di muschi, alghe ed epatiche.
*specie protetta
Tra i molti problemi che la società italiana annovera, c’è sicuramente la scarsa coscienza ambientale di molti suoi cittadini. Questa pecca si evidenzia quotidianamente e si traduce spesso in comportamenti incivili e devastanti nei confronti delle risorse naturali. Basti ricordare gli incendi dei boschi, piaga ricorrente in questo Paese. Nel 1995 sono avvenuti oltre 7000 incendi che hanno interessato quasi 50.000 ettari di superficie; di questi, 28.000 ettari sono ex boschi, divorati dalle fiamme. Ma anche dove il bosco non brucia, l’incuria, il vandalismo e le distruzioni sono evidenti, sistematiche e sotto gli occhi di tutti.
Chiunque percorra un qualunque sentiero appena defilato o ai margini di un bosco, ha modo di riflettere sulla qualità del rapporto esistente tra molti italiani e la Natura: spazzatura d’ogni tipo, forma e dimensione si accatasta con quantità e continuità angoscianti, quasi ossessiva. Se per gli incendi si possono invocare motivi economici e speculativi, incuria e inciviltà hanno radici lontane nel tempo: sono dovute in parte alla congenita mancanza di cultura scientifica e naturalistica di questo paese, e in parte sono il frutto di “un’etica” sociale aberrante, per la quale tutto ciò che è pubblico è di nessuno e come tale senza “diritti”, da prevaricare e insozzare.
Anche i padri della Patria, ottant’anni fa, al momento della stesura della Costituzione hanno dimenticato di rivolgere la loro attenzione alla Natura limitandosi alla vaghezza dell’articolo 9 che recita: “La Repubblica tutela il paesaggio ed il patrimonio storico“. Nient’altro. Inoltre si parla di paesaggio, non di tutela della natura. A questa mancanza, almeno in parte, ha posto rimedio la Regione Lombardia nel 1971, con la stesura dello Statuto Regionale. Esso fa proprie le istanze di tutela della Natura reclamate dal nascente associazionismo ambientale, in un periodo in cui i conflitti industria-ambiente assumono sempre più rilevanza sociale. L’articolo 3 si accolla qualche impegno più concreto e recita: “la Regione garantisce la tutela dell’ambiente; predispone ed attua piani per la difesa del suolo, per la prevenzione ed eliminazione delle cause di inquinamento; tutela i valori del paesaggio e del patrimonio naturale, storico, artistico e culturale“. Articolo sicuramente più esplicativo e di maggiore respiro rispetto al dettato Costituzionale.
Avere un riferimento legislativo è condizione importante ma non sufficiente, se non si riesce ad incidere nei comportamenti delle persone. Si tratta di educare i cittadini al bello ed al rispetto della natura, qualità che nonostante gli sforzi della scuola, delle associazioni naturalistiche, delle persone, sovente difettano. Siamo un popolo di santi, navigatori e poeti ma anche di inquinatori. Il problema da risolvere è la carenza di conoscenze e di cultura scientifica ed ecologica. Bisogna chiudere questo solco profondo di ignoranza e in questo contesto un supporto prezioso può giungere dai parchi. Ad essi spetta il compito di conservare e tutelare la Natura ma anche di educare e divulgare, con l’obiettivo di diffondere la conoscenza degli alberi e della loro organizzazione “sociale”: il bosco.
Fisiologia e ecologia dell’albero
L’albero non è fatto di materiale inerte, ma è un essere vivente, con una vita intensa: respira attraverso le foglie, nel suo interno circola la linfa, spinta a grandi altezze dalla capillarità e dalla traspirazione. L’albero è una portentosa macchina capace di fare ciò che nessun altro vivente è in grado di fare, e con una efficienza straordinaria: sa trasformare l’immensa quantità di energia luminosa, che il Sole quotidianamente irradia, in energia biologica e diffonderla, mediante le catene alimentari, in tutta la biosfera rendendo possibile ogni forma di vita attuale e futura. Le piante costituiscono la cerniera che collega il substrato chimico-fisico, inanimato ed uniforme, al mondo biologico, pulsante di vita e di varietà. In questo processo, che sulle terre emerse dura da oltre 450 milioni di anni, la pianta mediante la fotosintesi, sottrae anidride carbonica all’atmosfera e libera ossigeno, il combustibile della vita animale, contribuendo in questo modo al controllo dell’effetto serra.
I vegetali sono organismi molto efficienti dal punto di vista termodinamico, poiché i loro processi metabolici e fisiologici richiedono minore energia rispetto agli animali. Inoltre, le funzioni che l’animale compie trasformando l’energia dei legami chimici contenuta negli alimenti in energia cinetica e calore (ricerca del cibo, riproduzione), la pianta le compie accumulando energia nei legami chimici (quelli del glucosio e dei suoi polimeri che formano il legno, le radici, i rami ed altre parti della pianta).
Gli animali hanno forma e dimensione determinata dal codice genetico e generalmente – salvo patologie o disfunzioni metaboliche – non si discostano da questo progetto. Gli animali portano nel codice genetico due date: quella in cui smettono di crescere (quindi invecchiano) e quella in cui moriranno. Per gli alberi e’ diverso. Finché vivono, le piante crescono, anche se in modo diverso da specie a specie e sotto l’influenza del clima; in esse la crescita e la durata della vita coincidono. L’albero produce più di quanto consuma e continua a crescere: teoricamente ha una vita eterna. In realtà non succede ma questa fisiologia consente agli alberi di detenere i record di dimensione e longevità. Tra le gigantesche sequoia americane alcune hanno oltre 3000 anni; gli olivastri mediterranei scampati al fuoco in Sardegna, raggiungono 1500-2000 anni. Le querce, lente nella crescita ma robuste e longeve, raggiungono 500-600 anni di vita e così i castagni. Nel Parco Reale di Monza vive una farnia (Quercus robur L.) alta circa 25 metri e con il tronco di 5,5 metri di circonferenza ed un cedro del Libano alto 34 metri e con 7 metri di circonferenza. Il record di altezza spetta però al Liriodendron di Sirtori (CO): una torre di 52 metri!
Poiché producono più di quanto consumano, i vegetali occupano nella piramide alimentare il posto iniziale, per cui sono definiti organismi produttori e la biomassa da loro prodotta, condiziona quella degli animali (consumatori di primo e secondo livello). Un mondo senza vegetali sarebbe un mondo privo di ogni forma di vita animale.
L’albero feconda il terreno con l’humus delle sue foglie morte e mediante il ciclo dell’acqua*, regolarizza il clima. L’intensa traspirazione rinfresca l’atmosfera sottraendo calore all’ambiente, il palco fogliare attenua l’impatto cinetico delle piogge col suolo, impedendone il ruscellamento e così favorisce l’assorbimento di acqua nel terreno. Se cresce sui declivi, rallenta la velocità di scorrimento dell’acqua a valle, prevenendo le esondazioni, se vegeta in pianura, migliora la qualità delle falde acquifere.
Alcune specie vegetali possono migliorare la qualità dell’aria: l’erba medica può assorbire e metabolizzare 200 kg/giorno di NO2 o di SO2 per kmq, un acero, durante la stagione vegetativa, rimuove dall’aria decine di milligrammi di metalli pesanti, come piombo, cromo, cadmio. Queste sono solo alcune delle numerose ed indispensabili funzioni che l’albero come entità, ed il bosco come “organismo”, compiono quotidianamente. Ma l’albero ha anche dei nemici: il fuoco, l’inquinamento, gli insetti, l’uomo.
La traspirazione degli alberi è un fenomeno importante per la regolazione dell’umidità atmosferica e di conseguenza per la determinazione degli eventi climatici. Una betulla restituisce all’atmosfera 80 litri di acqua al giorno, un faggio più di 100 l, un tiglio 200, un ettaro di foresta migliaia di litri. Un ettaro di betulle traspira circa 47.000 litri al giorno, più della equivalente superficie di abete rosso, che evapora 43.000 litri. In generale, il consumo di acqua perduta per traspirazione dal manto vegetale è di 2/3000 t per anno nelle nostre regioni. Per manti sempreverdi, che traspirano tutto l’anno, la quantità può raddoppiare. L’evapo-traspirazione, la somma di acqua traspirata dalle piante e di quella evaporata dal terreno, nei nostri climi temperati si stima essere di 5000 – 7000 t/h/anno.